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Immagine del redattoreStefano Gonnelli

Il Lupo della Vigna – La solitudine del vignaiolo

Aggiornamento: 25 mag 2022

Se non avessi bevuto quel suo vino, la sera prima, non avrei potuto capire il suo tormento. Se non avessi  visto lo scempio di ciò che resta delle sue vigne e della sua casa non avrei compreso quel calice amaro.

La storia di Pino Ratto per me è tutta li, in quel calice immenso  de “Gli Scarsi 2005” ed in quel che resta della vigna che lo ha generato, a Ovada: pochi ceppi malandati invasi dalle erbacce e dalle ginestre; pali divelti e mangiati dal tempo.

Del suo genio e sregolatezza rimane la sua casa, nei pressi della vigna, ormai ridotta ad un mucchio di macerie,  lordata da vecchi penumatici, bottiglie rotte, bicchieri infranti, ammassi di rottami d’ogni genere.

Pino Ratto era grande comunicatore, dicono, un artista e ed un musicista, ma anche uomo di scienza e filosofo.

Pino Ratto era uomo affascinante e donnaiolo, così dicono gli anziani del paese che lo hanno conosciuto.

Del suo pensiero, così dicono i suoi colleghi vignaioli di Ovada, rimangono gli insegnamenti di cantina, l’aver reso grande il Dolcetto di Ovada, ma anche le mille contraddizioni di una personalità forte ed invisa, che attraeva letterati e contadini, no-global,  anarchici e fascisti.

Della sua vita mi è dato di sapere che nasceva nel ’35, stesso anno in cui suo padre piantò quella vigna, divenne farmacista, si votò alla viticultura per seguire il padre. Fu jazzista eccelso. Conobbe Veronelli, Mario Soldati ed altri personaggi famosi della rinascita enoica ed eroica italiana che ne lodarono i  vini e la persona.

Eebbe più compagne e figli.

Morì solo, in ospizio.

“Bisogna andare avanti in punta di piedi, con delicatezza” era il suo pensiero dominante. E quella sera in cui abbiamo degustato quel calice divino e raro, Fausto il ristoratore ci ha voluto fare dono della bottiglia.  “Così avrebbe voluto Pino, e così ho fatto io”

Caro vignaiolo, io sono fortunato perchè non ti ho mai conosciuto. Sono fortunato perchè  mi hai concesso di andare all’essenza oltre l’esistenza. E bevendo quel calice mi hai parlato dentro e mi hai ricordato che nonostante la grandezza delle nostre opere, niente sfugge a  ruggine e tarli;  che solo il pensiero vive vivo come in quel calice di vino, oltre il tempo, azzerando le distanze, colmando la solitudine ; che la vita è breve e stronza ma va vissuta appieno, in punta di piedi, lo sguardo sempre avanti, nonostante tutto, nonostante gli altri, nonostante noi.

Caro Lupo della Vigna, oggi mi sento come te, solo e fiero. Ma molto meno grande,

Di queste case Non è rimasto Che qualche Brandello di muro Di tanti Che mi corrispondevano Non è rimasto Neppure tanto Ma nel cuore Nessuna croce manca E’ il mio cuore Il paese più straziato

G. Ungaretti

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