
Il recente articolo sulla carcinogenicità degli insaccati e della carne rossa recentemente pubblicato dall’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, mi ha dato un nuovo spunto per fare nuovamente alcune riflessioni sul nostro modo di rapportarci con l’alimentazione e con l’agricoltura.
Nel dibattito che si è aperto successivamente a questa non-notizia dell’OMS si sono viste riaprire battaglie verbali fondate su vecchie posizioni ideologiche e su incerte e contrapposte verita’ scientifiche.
Salutisti e animalisti, vegani e vegetariani, crudisti e animisti giù a ribadire quanto sia sbagliato mangiare carne , quanto danneggi la salute, quanto sia contrario alla natura e alla fisiologia umana e quanto sia immorale nei confronti degli animali.
Dall’altro lato della barricata, gourmand e cuochi affermati, produttori e associazioni di agricoltori, cacciatori e pescatori che rivendicano il diritto di mangiare carne e ne declamano le proprietà e virtù alimentari. Senza contare poi quei giornalisti che ci ricordano il valore che la carne riveste in tutta la filiera agroalimentare mondiale e italiana.
Ma qual è la verità dunque? Mangiare carne fa veramente male?
Benchè anche io sia stato vegetariano per molti anni sia per ragioni salutistiche che per ragioni etiche, un dato di fatto è certo: la cane fa parte dell’alimentazione umana da almeno centinaia di migliaia di anni e probabilmente lo sarà per molto tempo ancora; ha consentito ai nostri antenati del genere Homo di salvarsi dall’era della glaciazione, quando procurarsi vegetali e tuberi era diventato difficile e quando il nostro cugino Parantropo, prevalentemente vegetariano, si estinse.
La carne faceva parte della dieta di popolazioni primitive di cacciatori-raccoglitori, nomadi o semi stanziali e non credo che nessun salutista e forse neanche il più intransigente vegano avrebbe potuto considerare disdicevole o immorale per i nativi americani abbattere i bisonti della prateria o per gli eschimesi nutrirsi prevalentemente di pesce.
La non-notizia dell’OMS nasconde invece una verita’ ben piu’ profonda e inconfessabile: non solo fa male mangiare carne ma fanno male anche il latte e i latticini, fanno male le farine i grani, la frutta e la verdura, il sale e lo zucchero, l’olio, il vino e il caffe’. Perchè? perchè sono tutti frutti di un’agricoltura sbagliata.
Perchè da tempo l’agricoltura ha smarrito il proprio ruolo fondante nel senso più antropologico: nutrire l’uomo nel corpo e nella mente (spirito) e nel rispetto delle leggi della natura.
Un tempo gli animali pascolavano liberamente ed i pascoli e culture foraggiere erano in equilibrio con gli appezzamenti seminativi. Il letame degli animali veniva poi utilizzato per concimare e si praticava la rotazione delle culture per evitare di stressare e impoverire la terra. Ogni azienda agricola era un piccolo organismo vivente in cui tutte le componenti (viventi e non) erano in equilibrio tra loro. Un piccolo e fragile ecosistema in cui l’uomo faceva da collante.
La carne si mangiava nei giorni di festa e l’uccisione di un animale corrispondeva quasi sempre ad un rito di ringraziamento che accompagnava il sacrificio di un essere vivente a lungo cresciuto ed accudito con rispetto e che veniva immolato per la nostra stessa sopravvivenza.
Oggi, per soddisfare la sempre crescente domanda di carne dei paesi più sviluppati, gli animali sono per lo più allevati in allevamenti industriali più simili a campi di concentramento che a stalle o ovili; sono selezionati (o peggio – modificati geneticamente) in base alla propria capacità di gonfiare la propria massa muscolare in breve tempo; vivono in spazi angusti in cui si ammalano facilmente e sono nutriti per mezzo di ormoni e antibiotici. Quando poi hanno raggiunto il peso ottimale entrano nella catena della macellazione, ambienti sicuramente asettici (a parte qualche caso che ogni tanto balza agli onori della cronaca) ma freddi e vuoti in cui entrano esseri viventi ed escono pezzi di carne incelofanati che valgono un tanto al chilo.
Nessun rito, nessuna festa, nessuna umanità.
Per foraggiare questa sempre crescente richiesta di animali da carne si impiegano milioni di ettari di terre, rubandole ai seminativi che potrebbero invece essere veramente destinati a nutrire il pianeta (quanto lontano dagli slogan di EXPO 2015); sia per i foraggi che per i seminativi si utilizzano culture intensive che per per essere produttive ed economicamente vantaggiose necessitano di fitofarmaci e pesticidi, diserbanti e concimi chimici che impoveriscono sempre più la terra, consumano acqua preziosa, e inquinano gli alimenti e le falde.
Il fragile equilibrio si è spezzato e l’uomo non è più un collante ma un’operatore agricolo, che svolge operazioni routinarie secondo i dettami della tecnica agricola moderna con l’unico obiettivo di produrre sempre di piu’ e trarne il maggior profitto possibile.
I nostri bambini consumano quotidinamente hamburger, wurstel, bocconcini di pollo e filetti di vitello senza neanche sapere che quei bocconcini un tempo beccavano mangime e che il vitello era un animale a quattro zampe.
Inconsapevolmente e indirettamente li sveziamo con gli stessi ormoni, antibiotici, grassi, additivi e conservanti con cui nutriamo gli animali e conserviamo i nostri prodotti. E contemporaneamente continuiamo ad alimentare questo circolo vizioso dell’agricoltura moderna: più mangiamo schifezze più l’agricoltura e l’industria alimentare ne produce.
Questa è l’allarme che l’OMS dovrebbe dare: l’agricoltura è malata, gli alimenti sono malati e l’umanità tutta e la terra sono malati. Ieri era la mucca pazza e il pesce al mercurio, oggi la carne rossa cangerogena, domani l’aviaria, la febbre suina e le mozzarelle alla diossina.
Solo piccoli eroi contadini, eretici e folli, restitono e combattono, e producono cibi sani e nel rispetto di madre natura.
Mani callose e sporche di terra e la sguardo rivolto al cielo.
Stanateli! E cambiate la vostra alimentazione!
La cura al cancro parte da qui, parte da una rivoluzione culturale e dalla consapevolezzza che ciò che mangiamo può migliorare la qualità della nostra vita e può cambiare il volto della terra che consegneremo ai nostri figli.
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