Da qualche mese una domanda ricorrente mi tormenta: cosa mi succederebbe se per qualche motivo perdessi la mia terra o se qualcuno o qualcosa mi costringesse a separarmi da essa? Cosa mi accomunerebbe agli altri “senza terra” del mondo?
Giovanni il Plantageneto, fratello di Riccardo I Cuor di Leone e figlio di Enrico II Re d’Inghilterra, fu soprannominato Senzaterra (Lack-land o Sans Terre) per essere rimasto, ultimo dei fratelli, senza alcuna eredità, titolo o possedimentio. Giovanni, sanguinario e schizofrenico, seppe riprendersi i sui titoli e la sua terra prima cospirando contro suo padre e poi contro suo fratello Riccardo Cuor di Leone, finendo coll’essere proclamato re d’Inghilterra nel 1199 ma dopo essersi inimicato buona parte del suo regno. Strano destino il suo perchè del suo stato di “senza terra” nessuno si ricorda mentre tutti si ricordano che fu colui che firmò la Magna Carta, considerata la prima vera costituzione mai concepita dall’uomo.
La firma della Magna Carta fu possibile perchè Giovanni era debole, e si portava quella debolezza nel soprannome, Senzaterra. E nonostante egli avesse sparso sangue e tradito padre, fratelli e parenti per riconquistare quella terra che gli era stata negata, egli non venne mai considerato un grande Re, come suo fratello Riccardo. Eppure senza Giovanni, senza un Senzaterra, non sarebbe mai stato possibile quel gran progresso verso la democrazia che ci ha reso tutti un pò meno sudditi e un pò più cittadini.
Giovanni era un Senzaterra perchè la rabbia lo rendeva un debole.
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La Tillandsia è un genere di pianta originaria del Centro America. Se ne contano più di cinquecento specie diverse e tutte sono caratterizzate da radici aeree grazie alle quali traggono il nutrimento. Di norma La Tillandsia vive sulle cime degli alberi e cattura l’umidità dell’aria tramite strutture dette tricomi che sono aperti quando la pianta è secca e si richiudono sopra una certa soglia di umidità per impedirne l’evaporazione. Questa curiosa pianta quindi, contrariamente alla maggior parte delle altre piante, rifugge la terra e se qualcuno provasse a piantarla, questa morirebbe dopo poco tempo.
Mi ricordo che quando ero ragazzo mio padre tentava inutilmente di farmi entusiasmare ai lavori in giardino. Io, sbrottando non poco, facevo quello che mi si chiedeva di fare, annaffiavo i pomodori, tagliavo la siepe e di quando in quando zappavo, ma trovavo i lavori della terra terribilmente stupidi, noiosi e faticosi. E poi dovevo stare sempre attento a non sporcarmi di fango. Alle zolle preferivo di gran lunga lo sport, l’informatica e le passaggiate con gli amici in via Ricasoli. Guardavo mio padre come la Tillandsia guarda le altre piante, dall’alto in basso, lei che fra tutte le piante é quella più vicina al cielo, che aspira alle grandi altezze, che si sente più uccello che pianta e rifugge la terra nonostante sappia di avere radici che un tempo affondavano in essa.
La Tillandsia è senza terra per superbia.
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In questi giorni, il continuo ripetersi di scene drammatiche di naufragi , di morti, di sbarchi di disperati alla ricerca di una vita migliore, ci ricordano che esistono intere popolazioni che non hanno più una terra dove vivere. Questi esuli le radici le hanno, e ben più profonde di qualsiasi altra pianta, ma sono costretti a sradicarsi, a fuggire dalla loro amara terra per evitare una morte certa. Si imbarcano in viaggi della speranza che diventano calvari infiniti e che l’artista messicano Gustavo Aceves ben descrive nella sua installazione Lapidarium: “…ogni imbarcazione è un misto tra un cavallo di troja e una lapide”. Questi sono i dannati del mondo, i reietti, quelli che dopo mille anni dalla firma della Magna Carta ancora non hanno alcun diritto di cittadinanza nel mondo.
Il migrante è senza terra per disperazione.
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Essere costretto a lasciare la propria terra! Abbandonare i luoghi, gli affetti, la tradizione, la casa e i tanti progetti. Quale sensazione più lacerante? In questi ultimi mesi, la possibilità concreta di rimanere senza la mia terra, separazione nella separazione, ha scatenato in me ogni sorta di emozione, dall’incredulità alla rabbia, dalla disperazione alla rassegnazione. Ho pensato che per vendetta avrei persino potuto agire come Giovanni il Plantageneto , e riconquistare i miei diritti ad ogni costo, anche col tradimento e la cospirazione e spargendo lacrime e sangue. Poi ho pensato che invece avrei potuto lasciarmi andare, macerarmi nel dolore e migrare alla ricerca di una terra migliore, affidandomi alla misericordia divina e umana. Ho infine creduto che, come la Tillandsia, avrei potuto ritirarmi nelle mie magnifiche altezze, in cima ad un albero e cullarmi nei miei pensieri dorati, nelle mie scritture filosofiche, immemore delle mie origini terrene.
Si, ho pensato che avrei potuto fare tutto questo.
Alla fine sono arrivato alla conclusione che niente di tutto ciò avrebbe veramente un senso per me, mi renderebbe più debole e mi lascerebbe con un grande amaro in bocca ed un profondo senso di fallimento dentro. Preferisco invece pensare che il mio essere senza terra potrebbe semplicemente rappresentare una condizione temporanea, una casuale e momentanea sospensione del tempo ma non una reale separazione. Perchè l’essere contadino e vignaiolo in realtà è una condizione mentale, una definizione stessa del saper vivere e sentirsi in simbiosi con la natura, indipendente dall’avere realmente una terra da coltivare. Certo, un Vigneron Sans Terre, un vignaiolo senza vigna non potrà mai scolpire un emozione nel vino, così come un pittore non potrà mai immortalare il suo spirito senza una tela. Ma un seme non smetterà mai di essere tale, ne fuori ne dentro la terra. Lo si può tenere chiuso in un cassetto per anni e lui non mostrerà mai segni di vita, ma non appena potrà riunirsi anche al piu’ angusto fazzoletto di terra, egli si ricorderà della sua innata essenza e germoglierà, dando nuovamente vita ad una pianta, ad un fiore e ad un frutto. Naturalmente. Magicamente.
Nessuno di noi potrebbe piu sentirsi un “senzaterra” se solo riuscissimo a liberare la mente e credere di essere dei semi pronti a germogliare.
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